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lunedì 5 dicembre 2011

Si cambia casa!

Il blog cambia casa...ci si rivede su http://varshavyanka.blogspot.com/

martedì 8 marzo 2011

La rivolta libica e l'imperialismo

L’ultimo articolo (l’analisi delle rivolte nel nord africa e in particolare in Egitto) si era concluso con la previsione di una rivoluzione in Algeria. La storia, si sa, non va mai come vorremmo e la rivoluzione è scoppiata in Libia.
Non è nostra intenzione discutere, in questo articolo, le dinamiche della rivolta né i suoi caratteri. È nostro obiettivo discutere delle infiltrazioni imperialiste nel processo di liberazione del popolo libico e di una possibile invasione della Libia da parte dei nordamericani e del loro cagnolino (la NATO).

L’IPOCRISIA DELL’IMPERIALISMO

L’imperialismo è viscido, ipocrita e traditore (e non potrebbe essere altrimenti, visto il marciume da cui nasce), non può permettersi quella coerenza propria solo del movimento proletario e comunista.
Numerosi sono gli esempi a sostegno di questa affermazione, basti pensare al caso Afghanistan dove gli imperialisti yankee hanno fomentato il movimento talebano e l’integralismo islamico pur di cacciare l’Armata Rossa da quei territori e scongiurare un contagio “rosso” nelle regioni limitrofe. Raggiunto questo scopo, però, i capoccioni imperialisti si sono accorti che i talebani non sottostavano ai loro ordini e così, pur di salvaguardare gli interessi economici e politici nella regione, i nordamericani (aiutati dagli europei) hanno invaso l’Afghanistan con le conseguenze che sono tutt’oggi sotto i nostri occhi.
Un esempio valido quanto quello sopra proposto è proprio il comportamento dell’Occidente capitalista nei confronti della Libia e della rivolta in atto in questi giorni.
Andiamo con ordine. Quando il Colonnello Gheddafi prese il potere iniziò una campagna di nazionalizzazione del petrolio libico e di altri importanti settori economici. Tutto questo lo portò allo scontro con l’imperialismo (scontro anche fisico, si pensi ai bombardamenti di Reagan).
Negli ultimi tempi, però, il Governo libico decide di aprire i mercati, di commerciare con l’Europa e con gli Stati Uniti. E subito è amicizia, la Libia viene tolta dalla lisa dei Paesi canaglia (nella quale permane, per esempio, Cuba), non vengono più denunciate violazioni dei diritti umani e vengono firmati diversi trattati. Cosa più importante: le potenze occidentali vendono armi a Gheddafi.
La storia prosegue fino a febbraio 2011. Scoppia la rivolta. Gheddafi è spacciato. Gli imperialisti, puntualmente, cambiano rotta, si schierano con gli insorti (sempre per salvaguardare i propri interessi, non si pensi che questa cricca di criminali mafiosi lotti per la libertà e la democrazia). Ripartono le denuncie: Gheddafi viola i diritti umani, Gheddafi è un dittatore, Gheddafi deve andarsene. Attenzione però: Gheddafi non è ancora finito e passa al contrattacco. Ed ecco che il cervello dei grandi burattinai capitalisti va in corto circuito (si sa, sono dotati di cervello mononeuronale e non riescono a elaborare velocemente troppi cambiamenti). Da che parte stare? Chi salvaguarderà gli interessi economici? Il risultato è devastante: gli imperialisti reclutano mercenari per Gheddafi (eccellente esempio Israele), contemporaneamente intimano a Gheddafi di porre fine alle violenze (eseguite dai loro mercenari) e di smettere di sparare sui protestanti (con le armi che loro hanno venduto al regime).
Una soluzione però la stanno trovando, anzi, probabilmente l’hanno già trovata. E questa soluzione risponde a due problemi.

VENTI DI GUERRA SULLA LIBIA

La soluzione trovata, come il lettore avrà intuito, è la guerra, l’invasione armata. I due problemi a cui essa risponde sono:
1) l’eliminazione di Gheddafi
2) l’arresto del processo rivoluzionario, in pratica in questo modo si eviterà che le rivolte trabocchino e raggiungano un livello non desiderato.

È già stato detto, ma repetita iuvant: gli imperialisti non lottano per la libertà dei popoli, non lottano per la democrazia, anzi, la avversano, poiché essa toglierebbe all’impero gli interessi economici con cui si sostiene e con cui mantiene la sua immensa corte.
In quest’ottica va vista una più che probabile invasione della Libia.
Eliminando il Colonnello, frenando i moti popolari e istituendo un Governo fantoccio l’Occidente si vedrà assicurato il petrolio e le altre immense risorse del Paese nordafricano.
Ora viene il problema più grande: come attirarsi le simpatie del popolo?
Visto che gli imperialisti non possono rivelare i loro veri obiettivi la soluzione trovata è stata quella di instillare un profondo odio nei confronti di Gheddafi e del suo regime (anche se fino all’altro ieri era in atto il processo inverso) e così ecco attivata la grande macchina mistificatrice: vengono mostrate immagine di un cimitero e si dice che è una fossa comune (ecco il grande potere del medium televisivo), vengono proclamati più di diecimila morti, ma non se ne vede nemmeno uno (con questo non si vuole dire che scontri non ve ne sono), l’aviazione e i carri armati bombardano le città, da settimane i ribelli assediano Tripoli, ma Gheddafi è ancora al suo posto.
Grazie anche alla collusione di quelle forze politiche che dovrebbero fare della verità la propria bandiera l’imperialismo è riuscito in questo primo obiettivo.
Il secondo è più arduo, ma quasi completato: convincere le potenze avverse all’invasione.
Quali sono? I Paesi dell’Unione Araba, la Russia e, pare, la Cina. Di questi i Paesi Arabi si sono già arresi. Quando anche gli altri due Stati daranno il nulla osta scoppierà la guerra. E sembra che questo momento sia vicino. Oltre la navi yankee nel Mediterraneo ieri aerei NATO hanno sorvolato i cieli libici. In più la prudenza di Rasmussen è stata smentita da un fuori onda di Gates (Ministro della Difesa americano) e Petraeus (Comandante americano in Afghanistan) dove si dicevano pronti all’invasione armata.

QUALCHE CONCLUSIONE

Gli intenti della rivolta libica sono senz’altro nobili. Il regime di Gheddafi deve essere abbattuto e solo il popolo libico può farlo.
Il sostegno al popolo libico, tuttavia, non può eliminare il nostro dovere di portare la verità contro le mistificazioni della borghesia, è nostro preciso dovere, quindi, denunciare la strategia degli imperialisti per impadronirsi della Libia! Ne va del bene nostro e del popolo libico, il cui obiettivo primario (come per il popolo egiziano) è capire che gli Stati Uniti e l’Europa non li salveranno né porteranno loro la democrazia! Con il popolo libico, contro l’imperialismo che tende i suoi grigi artigli sulla Libia!

domenica 6 marzo 2011

Addio, Alberto

Alla fine è morto anche lui, Alberto Granado, il mitico compagno di viaggio del Che e grande rivoluzionario. Non ci sono parole per descrivere il grande vuoto che lascia nel mondo.
Addio, compagno Alberto…e grazie…

domenica 20 febbraio 2011

Un'analisi delle rivolte del nordafrica

Negli ultimi giorni l’attenzione internazionale era concentrata sull’Egitto e sulla rivolta popolare in atto nel Paese nordafricano. Questi moti popolari hanno portato a una prima vittoria: la caduta del dittatore Mubarak. Per ora, almeno a mio avviso, non ci sono, tuttavia, le caratteristiche di una rivoluzione socialista. Prima di tutto la rivolta è stata subito guidata dai Fratelli Musulmani e dalle opposizioni borghesi al regime, in secondo luogo manca un forte Partito Comunista in grado di cambiare radicalmente la rotta e, per ultimo, le proteste avevano come obiettivo la caduta di Mubarak e non un cambio rivoluzionario della società. Detto questo analizziamo comunque i fatti che hanno visto una prima vittoria del proletariato egiziano, che hanno lanciato un chiaro messaggio a tutti i dittatori nordafricani, ai Governi borghesi mondiali (quello della forza del popolo, in grado di spazzare via qualsiasi regime) e che potrebbero essere preludio, come speriamo, a una rivoluzione socialista.

LE DIMISSIONI DI MUBARAK E IL POTERE AI MILITARI

Dopo diversi giorni di scontri tra il popolo egiziano e la polizia, aiutata dalle guardie presidenziali, il Presidente (o meglio: dittatore) Hosni Mubarak si è dimesso, passando il potere ai militari e fuggendo a Sharm el Sheik. Stando al comunicato numero 5 emesso dall’esercito egiziano i militari governeranno per i prossimi sei mesi, il Presidente del Consiglio Supremo delle Forze Armate assume la rappresentanza interna ed esterna del Paese ed il Primo Ministro Ahmed Shafiq assume la direzione del Consiglio dei Ministri. Inoltre è stato sciolto il Parlamento e sospesa la Costituzione, che verrà modificata e sottoposta all’approvazione popolare.
Se non si sa chi e come governerà dopo questa parentesi militare si può di certo intuire che la decisione di affidare il potere all’esercito comporta un arresto delle rivolte e del processo rivoluzionario, come dimostra, per esempio, lo sgombero degli ultimi manifestanti da Piazza Tahrir.
Chi fino a venerdì ha lottato per la caduta del dittatore lancia appelli ai militari chiedendo di non tradire la rivoluzione. Un appello destinato a cadere nel vuoto per due motivi ben precisi: il primo è dettato dal fatto che l’Egitto rimane una Repubblica borghese e i militari sono la mano armata e la guardia della borghesia, l’azione dell’esercito andrà verso il mantenimento dell’ordine borghese e verso il tradimento degli intenti del proletariato egiziano. Il secondo motivo è dettato dalla particolare storia dell’Egitto. Durante tutte le rivolte avvenute in Egitto, infatti, al Governo abbattuto dal popolo si è sostituito l’esercito, garantendo una prosecuzione del regime, anche se con vertici diversi. Anche ora ci sono preoccupazioni da parte di alcuni esponenti della politica egiziana e la paura di una svolta militare e autoritaria.
L’unica possibilità che ha il proletariato egiziano per vedere salvaguardata questa prima fase di rivolte, per non vedere al potere un altro Mubarak marionetta dell’esercito, degli Stati Uniti e di Israele e per passare ad una vera e propria rivoluzione di carattere socialista è quello di sovvertire l’apparato statale borghese e sganciarsi dall’esercito, suo vero nemico. Tutto questo sembra essere, per ora, molto lontano vista anche la grande popolarità dei militari.

OMAR SULEIMAN

Una figura chiave del regime di Mubarak, soprattutto nelle ultime settimane, è stato Omar Suleiman, vicepresidente e capo dei servizi segreti.
Anche ora egli rimane figura ambigua e poco chiara, come poco chiaro è il suo destino. Secondo alcuni i militari stanno già pensando di sbarazzarsene, secondo altri, invece, i vertici dell’esercito hanno intenzione di tenerlo al suo posto (anche se privo di “reali poteri”, anche se questa ultima affermazione appare poco credibile).
Al lettore più attento può sorgere spontanea una domanda: a che pro tenere nel Governo una figura odiata dal popolo? La risposta è molto semplice.
Suleiman era stato designato successore di Mubarak ancora prima dello scoppio della rivolta. Ovviamente tutto ciò non era stato deciso dal popolo, ma dagli stessi poteri forti che tenevano Mubarak al governo da trent’anni: Stati Uniti e Israele.
Sia gli USA sia Israele non sono interessati ad una “transizione democratica”, né ad altre rivolte nel Nord Africa o nel Medio Oriente. Pur di mantenere la propria egemonia e assicurare i propri interessi politici ed economici i Governi di questi due Paesi sono disposti a tutto, nonostante entrambi si facciano baluardi della democrazia. Suleiman era diventato, poi, il principale interlocutore tra USA, Israele e Mubarak. Poste queste condizioni è facile capire come, probabilmente, Suleiman rimarrà al suo posto o, comunque, nelle alte sfere del potere egiziano.
È altrettanto facile capire come, anche sotto questo aspetto, gli intenti del popolo sono stati traditi (o meglio: potrebbero essere traditi giacchè ancora nulla si sa sulla sorte di Suleiman) dall’esercito e dai poteri forti internazionali. Insomma, Mubarak è caduto, ma il problema è ben lontano dalla soluzione.

LE REAZIONI INTERNAZIONALI E L’IPOCRISIA DELL’OCCIDENTE

C’è chi dice che la rivolta egiziana ha preso in contropiede gli Stati Uniti. Ciò è vero solo in parte. Abbiamo già detto come gli USA potrebbero intercedere a favore di Suleiman, ma anche se egli non restasse al suo posto la potenza imperialista uscirebbe comunque vincitrice. Molto probabilmente, infatti, il nuovo Presidente sarà persona gradita agli Stati Uniti, grazie soprattutto all’esercito che detiene il vero potere in Egitto e che è amico del Governo nordamericano (complici gli ingenti finanziamenti militari). Insomma, Mubarak è caduto, ma molto probabilmente un altro personaggio della sua risma prenderà il potere nel Paese (basti pensare al caso della Colombia, dove Uribe non si è presentato alle elezioni, ma il nuovo Presidente era stato Ministro sotto Uribe e “amico fidato” degli Stati Uniti). Gli interessi dell’imperialismo nordamericano e israeliano nella zona sono troppo importanti, le due potenze difficilmente molleranno la preda.
Un altro fatto che colpisce molto è il comportamento delle potenze occidentali. Se fino a qualche settimana fa i Governi occidentali descrivevano l’Egitto come baluardo della democrazia e Paese più occidentale del nord africa, ora essi sono tra i primi a denunciare il dittatore Mubarak. Ciò che colpisce non è tanto il classico gioco politico, che accade più spesso di quanto si possa pensare, ma il fatto che nessuno denunci questo fatto o che molti individui, come pecore, non si accorgano della realtà e continuino a seguire il pensiero dominante, a non vedere l’ipocrisia dei loro governanti e della società in cui vivono. Mubarak è stato al potere per trent’anni compiendo soprusi di ogni genere sul popolo egiziano per colpa anche nostra e dei nostri Governi!
Di più: la situazione egiziana (e di molti altri Paesi) non cambierà fino a quando, oltre al proletariato egiziano, non prenderà coscienza il proletariato occidentale tutto, poiché fino a quando esisteranno Governi borghesi e imperialisti non potrà esservi libertà per i popoli sottomessi.
Per quanto riguarda gli Stati arabi la preoccupazione maggiore è che la rivolta egiziana possa “contagiare” gli altri Paesi nordafricani e mediorientali. Vi sono segnali in questo senso in Libia, Yemen, Oman, Giordania, mentre la rivolta è ormai scoppiata in Algeria.

LA SITUAZIONE ALGERINA

Ci permettiamo di scrivere poche righe anche sulla situazione in Algeria, dove la rivolta egiziana ha dato un nuovo scossone alle masse popolari che sono tornate violentemente in piazza dopo le manifestazioni del 21 Gennaio. Sabato 12 Febbraio, infatti, il popolo è sceso di nuovo in piazza contro il dittatore Bouteflika, anche se il regime non si è fatto trovare impreparato. Ad aspettare i manifestanti, infatti, c’erano trentamila poliziotti in assetto da battaglia che, con cariche e violenze, hanno disperso i manifestanti.
La lotta per abbattere il dittatore algerino sarà più ardua delle precedenti e se in Egitto è probabile che al potere salga un altro Mubarak in Algeria, in caso di vittoria delle masse popolari, questo fatto pare essere una certezza. L’Algeria, infatti, vende ogni anno cinquanta miliardi di dollari di gas e petrolio alle potenze occidentali. I Paesi imperialisti non lasceranno facilmente la preda.

QUALCHE CONCLUSIONE

Le rivolte in atto in Egitto in particolare e nel nord Africa in generale non hanno il carattere di una rivoluzione socialista, per tre principali motivi:
1) le lotte hanno per ora il solo scopo immediato di liberarsi da un dittatore
2) nei Paesi interessati non sono presenti forti Partiti Comunisti in grado di guidare una rivoluzione proletaria, né è presente una tradizione socialista forte
3) alla guida delle proteste vi sono movimenti borghesi o di stampo religioso
Tutto ciò non toglie che a queste prime rivolte e a questi primi successi del proletariato nordafricano non segua una rivoluzione socialista. Anzitutto da questa esperienza il popolo egiziano e in generale il popolo nordafricano e mediorientale ha preso coscienza della propria forza e questo è già un primo, grande passo avanti. In secondo luogo quasi sicuramente il popolo vedrà tradite le proprie aspettative dai vertici militari e dai potentati economici nazionali ed internazionali, che non hanno interesse in un radicale cambio di rotta.
Per vincere, quindi, il proletariato dei Paesi in rivolta deve capire che l’esercito, gli Stati Uniti e tutti i Paesi imperialisti, le guide “spirituali” (in realtà più interessate al potere temporale) e i politicanti borghesi sono i veri nemici di classe. Il proletariato egiziano e quello di tutti i Paesi africani, mediorientali e del mondo intero deve rompere con le opposizioni borghesi, poiché esse fanno e faranno sempre e solo il proprio interesse di classe a scapito del popolo che viene da loro usato solo come pedina per i propri scopi. Solo così si potrà passare da una rivolta a una rivoluzione socialista e solo così il proletariato potrà vincere.

giovedì 6 gennaio 2011

Lo strapotere delle banche 1-Il signoraggio

Chi pensa che la schiavitù sia finita secoli fa è, senza mezzi termini, un illuso. Vi è oggi una forma di schiavitù più subdola e strisciante che agisce nell’ombra, ignorata dai media di massa. Una schiavitù, insomma, a cui tutti siamo sottoposti senza saperlo. Tale forma di schiavitù risponde al nome di signoraggio. Nessuno ne parla, nessun giornalista ne fa una campagna né i principali politici (anche molti “comunisti”) ne fanno il fulcro della propria lotta politica. Ma cos’è il signoraggio? Spieghiamo tutto in semplici parole. Anzitutto una piccola premessa: l’attuale legislatura internazionale prevede che siano le Banche Centrali (nel nostro particolare caso la BCE e Bankitalia) a stampare le banconote, mentre tocca allo Stato coniare le monete. Detto questo passiamo alle dovute spiegazioni. Come è facile immaginare stampare banconote e coniare monete comporta un costo. Esso è dato dal costo del materiale, dalla manodopera, dalla distribuzione ecc…
Tale costo prende il nome di valore intrinseco. Sulla banconota viene però riportato un valore detto valore nominale (es. 10 euro). I due valori differiscono tra loro e questa differenza comporta il guadagno del grasso banchiere. Attenzione però: questa operazione vale prevalentemente per le banconote (la cui stampa è, ricordiamo, ad “onere” delle Banche Centrali), per le monete, invece, si ha una perdita (specialmente con le monete da 1,2,5, 10 centesimi poiché il costo per coniarle è di 15 centesimi). Un esempio può chiarire meglio il meccanismo. Supponiamo che la Banca debba stampare una banconota da 100 euro. La Banca paga l’operazione 30 centesimi, ma lo Stato acquista la banconota al suo valore nominale. Non basta, sulla banconota grava un interesse del 3% circa. Ed ecco che la carta moneta viene a costare al cittadino 103 euro. Ne consegue che il debito pubblico è enorme, poiché anche qualora lo Stato ritirasse tutte le banconote in circolo non si riuscirebbero comunque a pagare gli interessi.
Ma tutto questo non basta all’esoso banchiere. Quante volte abbiamo sentito, soprattutto in tempi recenti, parlare di danaro virtuale? Ebbene, attenzione! Il passaggio al danaro virtuale è rischiosissimo per tutti noi, poiché comporterebbe l’eliminazione dei costi di produzione e farebbe salire al 100% il signoraggio sulla moneta virtuale!
È ora di aprire gli occhi! Lo Stato, quindi tutti noi, è schiavo delle banche! Esse controllano e condizionano gli interessi statali e le politiche internazionali! Dalle alleanze alle guerre passando per i vari colpi di Stato! Il Signoraggio è uno, se non il più grande, dei mali del mondo! È ora di reagire e rompere le catene della schiavitù! È ora di eliminare il signoraggio! Come? Nazionalizzando tutte le banche! Distruggendo lo strapotere bancario e il mostro che lo genera: il perverso modo di produzione capitalistico!

martedì 21 dicembre 2010

Il Gruppo Bilderberg

Uno dei doveri dei comunisti, oggi come ieri, è, a mio avviso, informare il popolo, togliere il manto di menzogne che la borghesia utilizza per coprire la verità o, più semplicemente, rendere noti fatti taciuti. Non si creda che questo sia un compito secondario o pavido, tutt’altro. È un compito delicato e coraggioso poiché, molte volte, bisogna sopportare le “risate degli stolti che sono in maggioranza”.
Proprio le risate sono temibili armi della borghesia. Quando le teste d’uovo della borghesia non riescono (e capita spesso) a dare risposte politiche su determinati argomenti vi gettano sopra una risata. In poche parole ridicolizzano le teorie e il teorico. Uno dei modi più in uso per ridicolizzare una teoria è definirla “teoria del complotto” e trattare l’enunciatore di tale teoria come un pazzo visionario. Un eccellente esempio è la teoria sul “Gruppo Bilderberg”. Proprio di questo parleremo ora.
Il gruppo Bilderberg è un meeting internazionale (non ufficiale) di personalità del mondo economico, politico e finanziario (130-200 individui in tutto). Ovviamente il tutto avviene nel più stretto riserbo.
Un po’ di storia. Il Bilderberg nasce nel 1952, ma prende questo nome nel 1954 quando l’annuale meeting si svolge all’Hotel Bilderberg di Oosterbeek, in Olanda. Si dice che a questo primo meeting parteciparono anche Paul Van Zeeland e Alcide de Gasperi, rispettivamente Capi del Governo belga e italiano.
Tra i principali promotori del gruppo abbiamo due “signori”: Bernhard van Lippe-Biesterfeld e Joseph Retinger. Chi sono?
Il primo è stato presidente del gruppo fino al 1976, nobile, Principe consorte dei Paesi Bassi e Presidente del WWF. Cosa più importante: van Lippe-Biesterfeld è stato affiliato al NSDAP (NationalSozialistiche Deutsche ArbeiterPartei, o Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori). Sono documentate le sue azioni di spionaggio a favore delle SS nell’industria chimica IG Farbenindustrie (la stessa che fabbricava i gas per i campi di sterminio). In seguito pare abbia partecipato alla liberazione di Amsterdam. Finita la guerra ha assunto ruoli importanti nella Royal Dutch Petroleum (Shell Oil) e nella Sociètè Gènèrale de Belgique.
Retinger, invece, è stato fondatore e Segretario Generale (fino al 1952) dell’United European Movement (presieduto da Churchill e finanziato dall’American Committee for United Europe). Lo scopo era costruire una Europa unita per arrivare a un mondo unito guidato da organizzazioni sovranazionali. È stato proprio Retinger a suggerire che il Bilderberg si avvicinasse (con successo) agli Stati Uniti d’America e a far entrare nel gruppo la famiglia Rockefeller.
Presentiamo una lista di altri nomi legati al gruppo Bilderberg:
- David Rockefeller (Presidente della JP Morgan, membro fondatore della Trilateral Commission, membro della Commissione Bancaria Internazionale, Presidente del Council on Foreign Relations)
- Donald Rumsfeld
- Peter Sutherland (ex Commissario dell’Unione Europea, Presidente di Goldman Sachs e di British-Petroleum)
- Franco Bernabè (Telecom Italia)
- John Elkann
- Tommaso Padoa Schioppa
- Paolo Scaroni (ENI)
- Giulio Tremonti
- Gianni Agnelli
- Umberto Agnelli
- Ferruccio de Bortoli
- Mario Draghi
- Giorgio La Malfa
- Claudio Martelli
- Romano Prodi
- Carlo Rossella
- Marco Tronchetti Provera
- Walter Veltroni
- Ignazio Visco
- Martin Taylor (Goldman Sachs)
- Antony Burgmans (Unilever)
- George A. David (Coca Cola)
- Timothy F. Geithner (Federal Reserve Bank)
- John Kerr (Shell)
- Henry A. Kissinger
- Indra K. Nooyi (Pepsi Cola)

Insomma, una vera e propria elite che si riunisce ogni anno a porte chiuse per discutere. Di cosa discute? Molto probabilmente non di arte o simili. È più probabile che discuta le prossime mosse economiche, le decisioni da prendere, nuovi modi per influenzare le menti e i Governi. Ma guai a dirlo! La pena è essere bollati come complottisti.
Non ci accontentiamo di fare una lista di nomi e ipotizzare le chiacchierate dell’elite mondiale. Riportiamo quello che, secondo indiscrezioni, ha deciso il Bilderberg nell’ultima riunione avvenuta a Sitges (Barcellona) verso Giugno 2010. Indiscrezioni per modo di dire giacchè alcune cose decise sono già avvenute.
Per dare prova della nostra buonafede partiamo proprio da questo fatto già accaduto. Sembra che i Bilderberg abbiano deciso, a Giugno, di far passare una estate “tranquilla” ai consumatori e mantenere “normale” il prezzo del petrolio, salvo poi farlo salire da Novembre. Dati alla mano notiamo che la variazione del prezzo del petrolio al barile è stata la seguente:
- Giugno $ 74,58
- Luglio $ 75,58
- Agosto $ 77,17
- Settembre $ 77,35
- Ottobre $ 82,10
- Novembre $ 85,12

Fino al dato più aggiornato a mia disposizione:
- Venerdì 10 Dicembre 2010 $ 90,25

Speriamo di aver dimostrato la veridicità delle nostre fonti. Detto questo passiamo agli altri temi all’ordine del giorno del gruppo.
Essi erano: salvataggio dell’euro, nuovi piani per l’istituzione di una carbon tax e approvazione dei bombardamenti sull’Iran.
Essenziale per i Bilderberg è il salvataggio delle moneta unica europea poiché essa è il banco di prova di una valuta unica mondiale, vero scopo della borghesia imperialista mondiale. Un attacco all’Iran presenta, invece, diversi vantaggi, sia immediati che futuri. Proviamo ad elencarli:
1) profitto.
Un attacco all’Iran porterebbe profitto immediato per i potenti borghesi e un profitto futuro grazie alle risorse petrolifere.
2) distrazione di massa.
Una nuova guerra potrebbe essere un ottimo mezzo per distrarre le persone dai reali problemi quotidiani.
3) maggiore accerchiamento politico-militare della Cina.
Se l’Iran diventa colonia dell’Impero americano la Cina vedrebbe aumentare i paesi filoamericani in Asia, di importanza vitale per lo scontro che, prima o poi, avverrà tra Impero morente e Impero nascente.
Una coincidenza poi che da questa estate la campagna mediatica contro l’Iran sia aumentata?
Abbiamo parlato, poco fa, di distrazione di massa. Questo è un punto essenziale della politica Bilderberg e, conseguentemente, della politica della borghesia. Essi non vogliono che la gente pensi, che la gente si chieda cosa accade nelle stanze segrete del potere politico-economico. Essi hanno paura che la gente scopra i loro piani. La nostra risposta deve essere solo una: reagire informarci e contrattaccare. Dobbiamo urlare a tutti i piani dei Bilderberg, che non sono altro che i piani della borghesia mondiale! Essi vogliono controllarci, vogliono inasprire il regime in cui già viviamo! Noi non glielo permetteremo! Il modo per farlo è semplice: parlare, informare chi ancora non sa. Leggete e fate leggere questo documento o altri documenti riguardanti questa elite che mira a controllarci! Fate circolare documenti! Informatevi e informate! Ne va del bene di tutti.

mercoledì 17 novembre 2010

Il Manifesto del Partito Comunista

Secondo testo proposto. Assolutamente da leggere. Come sempre oltre al testo posto di seguito troverete il link alla versione PDF. Buona lettura!

Prefazione
Uno spettro s'aggira per l'Europa - lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi. Quale partito d'opposizione non è stato tacciato di comunismo dai suoi avversari di governo; qual partito d'opposizione non ha rilanciato l'infamante accusa di comunismo tanto sugli uomini più progrediti dell'opposizione stessa, quanto sui propri avversari reazionari? Da questo fatto scaturiscono due specie di conclusioni. Il comunismo è di già riconosciuto come potenza da tutte le potenze europee. E` ormai tempo che i comunisti espongano apertamente in faccia a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro fini, le loro tendenze, e che contrappongano alla favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito stesso. A questo scopo si sono riuniti a Londra comunisti delle nazionalità più diverse e hanno redatto il seguente manifesto che viene pubblicato in inglese, francese, tedesco, italiano, fiammingo e danese.
I. Borghesi e Proletari
La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta. Nelle epoche passate della storia troviamo quasi dappertutto una completa articolazione della società in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni sociali. In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel medioevo signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba, e, per di più, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di queste classi. La società civile moderna, sorta dal tramonto della società feudale, non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta. La nostra epoca, l'epoca della borghesia, si distingue però dalle altre per aver semplificato gli antagonismi di classe. L'intera società si va scindendo sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l'una all'altra: borghesia e proletariato. Dai servi della gleba del medioevo sorse il popolo minuto delle prime città; da questo popolo minuto si svilupparono i primi elementi della borghesia. La scoperta dell'America, la circumnavigazione dell'Africa crearono alla sorgente borghesia un nuovo terreno. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la colonizzazione dell'America, gli scambi con le colonie, l'aumento dei mezzi di scambio e delle merci in genere diedero al commercio, alla navigazione, all'industria uno slancio fino allora mai conosciuto, e con ciò impressero un rapido sviluppo all'elemento rivoluzionario entro la società feudale in disgregazione. L'esercizio dell'industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava più al fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentrò la manifattura. Il medio ceto industriale soppiantò i maestri artigiani; la divisione del lavoro fra le diverse corporazioni scomparve davanti alla divisione del lavoro nella singola officina stessa. Ma i mercati crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la manifattura era più sufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale. All'industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna; al ceto medio industriale subentrarono i milionari dell'industria, i capi di interi eserciti industriali, i borghesi moderni. La grande industria ha creato quel mercato mondiale, ch'era stato preparato dalla scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno sviluppo immenso al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni per via di terra. Questo sviluppo ha reagito a sua volta sull'espansione dell'industria, e nella stessa misura in cui si estendevano industria, commercio, navigazione, ferrovie, si è sviluppata la borghesia, ha accresciuto i suoi capitali e ha respinto nel retroscena tutte le classi tramandate dal medioevo. Vediamo dunque come la borghesia moderna è essa stessa il prodotto d'un lungo processo di sviluppo, d'una serie di rivolgimenti nei modi di produzione e di traffico. Ognuno di questi stadi di sviluppo della borghesia era accompagnato da un corrispondente progresso politico. Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, insieme di associazioni armate ed autonome nel Comune, talvolta sotto la forma di repubblica municipale indipendente, talvolta di terzo stato tributario della monarchia, poi all'epoca dell'industria manifatturiera, nella monarchia controllata dagli stati come in quella assoluta, contrappeso alla nobiltà, e fondamento principale delle grandi monarchie in genere, la borghesia, infine, dopo la creazione della grande industria e del mercato mondiale, si è conquistata il dominio politico esclusivo dello Stato rappresentativo moderno. Il potere statale moderno non è che un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese. La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria. Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliche. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche. La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le attività che fino allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo della scienza, in salariati ai suoi stipendi. La borghesia ha strappato il commovente velo sentimentale al rapporto familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto di denaro. La borghesia ha svelato come la brutale manifestazione di forza che la reazione ammira tanto nel medioevo, avesse la sua appropriata integrazione nella più pigra infingardaggine. Solo la borghesia ha dimostrato che cosa possa compiere l'attività dell'uomo. Essa ha compiuto ben altre meraviglie che le piramidi egiziane, acquedotti romani e cattedrali gotiche, ha portato a termine ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le crociate. La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti. Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni. Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato un'impronta cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi. Ha tolto di sotto i piedi dell'industria il suo terreno nazionale, con gran rammarico dei reazionari. Le antichissime industrie nazionali sono state distrutte, e ancora adesso vengono distrutte ogni giorno. Vengono soppiantate da industrie nuove, la cui introduzione diventa questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili, da industrie che non lavorano più soltanto le materie prime del luogo, ma delle zone più remote, e i cui prodotti non vengono consumati solo dal paese stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai vecchi bisogni, soddisfatti con i prodotti del paese, subentrano bisogni nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e dei climi più lontani. All'antica autosufficienza e all'antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio universale, una interdipendenza universale fra le nazioni. E come per la produzione materiale, così per quella intellettuale. I prodotti intellettuali delle singole nazioni divengono bene comune. L'unilateralità e la ristrettezza nazionali divengono sempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali e locali si forma una letteratura mondiale. Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni, anche le più barbare. I bassi prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante con la quale spiana tutte le muraglie cinesi, con la quale costringe alla capitolazione la più tenace xenofobia dei barbari. Costringe tutte le nazioni ad adottare il sistema di produzione della borghesia, se non vogliono andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa loro la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola: essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza. La borghesia ha assoggettato la campagna al dominio della città. Ha creato città enormi, ha accresciuto su grande scala la cifra della popolazione urbana in confronto di quella rurale, strappando in tal modo una parte notevole della popolazione all'idiotismo della vita rurale. Come ha reso la campagna dipendente dalla città, la borghesia ha reso i paesi barbari e semibarbari dipendenti da quelli inciviliti, i popoli di contadini da quelli di borghesi, l'Oriente dall'Occidente. La borghesia elimina sempre più la dispersione dei mezzi di produzione, della proprietà e della popolazione. Ha agglomerato la popolazione, ha centralizzato i mezzi di produzione, e ha concentrato in poche mani la proprietà. Ne è stata conseguenza necessaria la centralizzazione politica. Province indipendenti, legate quasi solo da vincoli federali, con interessi, leggi, governi e dazi differenti, vennero strette in una sola nazione, sotto un solo governo, una sola legge, un solo interesse nazionale di classe, entro una sola barriera doganale. Durante il suo dominio di classe appena secolare la borghesia ha creato forze produttive in massa molto maggiore e più colossali che non avessero mai fatto tutte insieme le altre generazioni del passato. Il soggiogamento delle forze naturali, le macchine, l'applicazione della chimica all'industria e all'agricoltura, la navigazione a vapore, le ferrovie, i telegrafi elettrici, il dissodamento d'interi continenti, la navigabilità dei fiumi, popolazioni intere sorte quasi per incanto dal suolo -quale dei secoli antecedenti immaginava che nel grembo del lavoro sociale stessero sopite tali forze produttive? Ma abbiamo visto che i mezzi di produzione e di scambio sulla cui base si era venuta costituendo la borghesia erano stati prodotti entro la società feudale. A un certo grado dello sviluppo di quei mezzi di produzione e di scambio, le condizioni nelle quali la società feudale produceva e scambiava, l'organizzazione feudale dell'agricoltura e della manifattura, in una parola i rapporti feudali della proprietà, non corrisposero più alle forze produttive ormai sviluppate. Essi inceppavano la produzione invece di promuoverla. Si trasformarono in altrettante catene. Dovevano essere spezzate e furono spezzate. Ad esse subentrò la libera concorrenza con la confacente costituzione sociale e politica, con il dominio economico e politico della classe dei borghesi. Sotto i nostri occhi si svolge un moto analogo. I rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, la società borghese moderna che ha creato per incanto mezzi di produzione e di scambio così potenti, rassomiglia al mago che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate. Sono decenni ormai che la storia dell'industria e del commercio è soltanto storia della rivolta delle forze produttive moderne contro i rapporti moderni della produzione, cioè contro i rapporti di proprietà che costituiscono le condizioni di esistenza della borghesia e del suo dominio. Basti ricordare le crisi commerciali che col loro periodico ritorno mettono in forse sempre più minacciosamente l'esistenza di tutta la società borghese. Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta non solo una parte dei prodotti ottenuti, ma addirittura gran parte delle forze produttive già create. Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che in tutte le epoche precedenti sarebbe apparsa un assurdo: l'epidemia della sovraproduzione. La società si trova all'improvviso ricondotta a uno stato di momentanea barbarie; sembra che una carestia, una guerra generale di sterminio le abbiano tagliato tutti i mezzi di sussistenza; l'industria, il commercio sembrano distrutti. E perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive che sono a sua disposizione non servono più a promuovere la civiltà borghese e i rapporti borghesi di proprietà; anzi, sono divenute troppo potenti per quei rapporti e ne vengono ostacolate, e appena superano questo ostacolo mettono in disordine tutta la società borghese, mettono in pericolo l'esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono divenuti troppo angusti per poter contenere la ricchezza da essi stessi prodotta. -Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse. A questo momento le armi che son servite alla borghesia per atterrare il feudalesimo si rivolgono contro la borghesia stessa. Ma la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che la porteranno alla morte; ha anche generato gli uomini che impugneranno quelle armi: gli operai moderni, i proletari. Nella stessa proporzione in cui si sviluppa la borghesia, cioè il capitale, si sviluppa il proletariato, la classe degli operai moderni, che vivono solo fintantoché trovano lavoro, e che trovano lavoro solo fintantoché il loro lavoro aumenta il capitale. Questi operai, che sono costretti a vendersi al minuto, sono una merce come ogni altro articolo commerciale, e sono quindi esposti, come le altre merci, a tutte le alterne vicende della concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato. Con l'estendersi dell'uso delle macchine e con la divisione del lavoro, il lavoro dei proletari ha perduto ogni carattere indipendente e con ciò ogni attrattiva per l'operaio. Egli diviene un semplice accessorio della macchina, al quale si richiede soltanto un'operazione manuale semplicissima, estremamente monotona e facilissima da imparare. Quindi le spese che causa l'operaio si limitano quasi esclusivamente ai mezzi di sussistenza dei quali egli ha bisogno per il proprio mantenimento e per la riproduzione della specie. Ma il prezzo di una merce, quindi anche quello del lavoro, è uguale ai suoi costi di produzione. Quindi il salario decresce nella stessa proporzione in cui aumenta il tedio del lavoro. Anzi, nella stessa proporzione dell'aumento dell'uso delle macchine e della divisione del lavoro, aumenta anche la massa del lavoro, sia attraverso l'aumento delle ore di lavoro, sia attraverso l'aumento del lavoro che si esige in una data unità di tempo, attraverso l'accresciuta celerità delle macchine, e così via. L'industria moderna ha trasformato la piccola officina del maestro artigiano patriarcale nella grande fabbrica del capitalista industriale. Masse di operai addensate nelle fabbriche vengono organizzate militarmente. E vengono poste, come soldati semplici dell'industria, sotto la sorveglianza di una completa gerarchia di sottufficiali e ufficiali. Gli operai non sono soltanto servi della classe dei borghesi, ma vengono asserviti giorno per giorno, ora per ora dalla macchina, dal sorvegliante, e soprattutto dal singolo borghese fabbricante in persona. Questo dispotismo è tanto più meschino, odioso ed esasperante, quanto più apertamente esso proclama come fine ultimo il guadagno. Quanto meno il lavoro manuale esige abilità ed esplicazione di forza, cioè quanto più si sviluppa l'industria moderna, tanto più il lavoro degli uomini viene soppiantato da quello delle donne [e dei fanciulli]. Per la classe operaia non han più valore sociale le differenze di sesso e di età. Ormai ci sono soltanto strumenti di lavoro che costano più o meno a seconda dell'età e del sesso. Quando lo sfruttamento dell'operaio da parte del padrone di fabbrica è terminato in quanto all'operaio viene pagato il suo salario in contanti, si gettano su di lui le altre parti della borghesia, il padron di casa, il bottegaio, il prestatore su pegno e così via. Quelli che fino a questo momento erano i piccoli ordini medi, cioè i piccoli industriali, i piccoli commercianti e coloro che vivevano di piccole rendite, gli artigiani e i contadini, tutte queste classi precipitano nel proletariato, in parte per il fatto che il loro piccolo capitale non è sufficiente per l'esercizio della grande industria e soccombe nella concorrenza con i capitalisti più forti, in parte per il fatto che la loro abilità viene svalutata da nuovi sistemi di produzione. Così il proletariato si recluta in tutte le classi della popolazione. Il proletariato passa attraverso vari gradi di sviluppo. La sua lotta contro la borghesia comincia con la sua esistenza. Da principio singoli operai, poi gli operai di una fabbrica, poi gli operai di una branca di lavoro in un dato luogo lottano contro il singolo borghese che li sfrutta direttamente. Essi non dirigono i loro attacchi soltanto contro i rapporti borghesi di produzione, ma contro gli stessi strumenti di produzione; distruggono le merci straniere che fan loro concorrenza, fracassano le macchine, danno fuoco alle fabbriche, cercano di riconquistarsi la tramontata posizione del lavoratore medievale. In questo stadio gli operai costituiscono una massa disseminata per tutto il paese e dispersa a causa della concorrenza. La solidarietà di maggiori masse operaie non è ancora il risultato della loro propria unione, ma della unione della borghesia, la quale, per il raggiungimento dei propri fini politici, deve mettere in movimento tutto il proletariato, e per il momento può ancora farlo. Dunque, in questo stadio i proletari combattono non i propri nemici, ma i nemici dei propri nemici, gli avanzi della monarchia assoluta, i proprietari fondiari, i borghesi non industriali, i piccoli borghesi. Così tutto il movimento della storia è concentrato nelle mani della borghesia; ogni vittoria raggiunta in questo modo è una vittoria della borghesia. Ma il proletariato, con lo sviluppo dell'industria, non solo si moltiplica; viene addensato in masse più grandi, la sua forza cresce, ed esso la sente di più. Gli interessi, le condizioni di esistenza all'interno del proletariato si vanno sempre più agguagliando man mano che le macchine cancellano le differenze del lavoro e fanno discendere quasi dappertutto il salario a un livello ugualmente basso. La crescente concorrenza dei borghesi fra di loro e le crisi commerciali che ne derivano rendono sempre più oscillante il salario degli operai; l'incessante e sempre più rapido sviluppo del perfezionamento delle macchine rende sempre più incerto il complesso della loro esistenza; le collisioni fra il singolo operaio e il singolo borghese assumono sempre più il carattere di collisioni di due classi. Gli operai cominciano col formare coalizioni contro i borghesi, e si riuniscono per difendere il loro salario. Fondano perfino associazioni permanenti per approvvigionarsi in vista di quegli eventuali sollevamenti. Qua e là la lotta prorompe in sommosse. Ogni tanto vincono gli operai; ma solo transitoriamente. Il vero e proprio risultato delle lotte non è il successo immediato, ma il fatto che l'unione degli operai si estende sempre più. Essa è favorita dall'aumento dei mezzi di comunicazione, prodotti dalla grande industria, che mettono in collegamento gli operai delle diverse località. E basta questo collegamento per centralizzare in una lotta nazionale, in una lotta di classe, le molte lotte locali che hanno dappertutto uguale carattere. Ma ogni lotta di classi è lotta politica. E quella unione per la quale i cittadini del medioevo con le loro strade vicinali ebbero bisogno di secoli, i proletari moderni con le ferrovie la attuano in pochi anni. Questa organizzazione dei proletari in classe e quindi in partito politico torna ad essere spezzata ogni momento dalla concorrenza fra gli operai stessi. Ma risorge sempre di nuovo, più forte, più salda, più potente. Essa impone il riconoscimento in forma di legge di singoli interessi degli operai, approfittando delle scissioni all'interno della borghesia. Così fu per la legge delle dieci ore di lavoro in Inghilterra. In genere, i conflitti insiti nella vecchia società promuovono in molte maniere il processo evolutivo del proletariato. La borghesia è sempre in lotta; da principio contro l'aristocrazia, più tardi contro le parti della stessa borghesia i cui interessi vengono a contrasto con il progresso dell'industria, e sempre contro la borghesia di tutti i paesi stranieri. In tutte queste lotte essa si vede costretta a fare appello al proletariato, a valersi del suo aiuto, e a trascinarlo così entro il movimento politico. Essa stessa dunque reca al proletariato i propri elementi di educazione, cioè armi contro se stessa. Inoltre, come abbiamo veduto, il progresso dell'industria precipita nel proletariato intere sezioni della classe dominante, o per lo meno ne minaccia le condizioni di esistenza. Anch'esse arrecano al proletariato una massa di elementi di educazione. Infine, in tempi nei quali la lotta delle classi si avvicina al momento decisivo, il processo di disgregazione all'interno della classe dominante, di tutta la vecchia società, assume un carattere così violento, così aspro, che una piccola parte della classe dominante si distacca da essa e si unisce alla classe rivoluzionaria, alla classe che tiene in mano l'avvenire. Quindi, come prima una parte della nobiltà era passata alla borghesia, così ora una parte della borghesia passa al proletariato; e specialmente una parte degli ideologi borghesi, che sono riusciti a giungere alla intelligenza teorica del movimento storico nel suo insieme. Fra tutte le classi che oggi stanno di contro alla borghesia, il proletariato soltanto è una classe realmente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e tramontano con la grande industria; il proletariato è il suo prodotto più specifico. Gli ordini medi, il piccolo industriale, il piccolo commerciante, l'artigiano, il contadino, combattono tutti la borghesia, per premunire dalla scomparsa la propria esistenza come ordini medi. Quindi non sono rivoluzionari, ma conservatori. Anzi, sono reazionari, poiché cercano di far girare all'indietro la ruota della storia. Quando sono rivoluzionari, sono tali in vista del loro imminente passaggio al proletariato, non difendono i loro interessi presenti, ma i loro interessi futuri, e abbandonano il proprio punto di vista, per mettersi da quello del proletariato. Il sottoproletariato, questa putrefazione passiva degli infimi strati della società, che in seguito a una rivoluzione proletaria viene scagliato qua e là nel movimento, sarà più disposto, date tutte le sue condizioni di vita, a lasciarsi comprare per mene reazionarie. Le condizioni di esistenza della vecchia società sono già annullate nelle condizioni di esistenza del proletariato. Il proletario è senza proprietà; il suo rapporto con moglie e figli non ha più nulla in comune con il rapporto familiare borghese; il lavoro industriale moderno, il soggiogamento moderno del capitale, identico in Inghilterra e in Francia, in America e in Germania, lo ha spogliato di ogni carattere nazionale. Leggi, morale, religione sono per lui altrettanti pregiudizi borghesi, dietro i quali si nascondono altrettanti interessi borghesi. Tutte le classi che si sono finora conquistato il potere hanno cercato di garantire la posizione di vita già acquisita, assoggettando l'intera società alle condizioni della loro acquisizione. I proletari possono conquistarsi le forze produttive della società soltanto abolendo il loro proprio sistema di appropriazione avuto sino a questo momento, e per ciò stesso l'intero sistema di appropriazione che c'è stato finora. I proletari non hanno da salvaguardare nulla di proprio, hanno da distruggere tutta la sicurezza privata e tutte le assicurazioni private che ci sono state fin qui. Tutti i movimenti precedenti sono stati movimenti di minoranze, o avvenuti nell'interesse di minoranze. Il movimento proletario è il movimento indipendente della immensa maggioranza. Il proletariato, lo strato più basso della società odierna, non può sollevarsi, non può drizzarsi, senza che salti per aria l'intera soprastruttura degli strati che formano la società ufficiale. La lotta del proletariato contro la borghesia è in un primo tempo lotta nazionale, anche se non sostanzialmente, certo formalmente. E` naturale che il proletariato di ciascun paese debba anzitutto sbrigarsela con la propria borghesia. Delineando le fasi più generali dello sviluppo del proletariato, abbiamo seguito la guerra civile più o meno latente all'interno della società attuale, fino al momento nel quale quella guerra erompe in aperta rivoluzione e nel quale il proletariato fonda il suo dominio attraverso il violento abbattimento della borghesia. Ogni società si è basata finora, come abbiam visto, sul contrasto fra classi di oppressori e classi di oppressi. Ma, per poter opprimere una classe, le debbono essere assicurate condizioni entro le quali essa possa per lo meno stentare la sua vita di schiava. Il servo della gleba, lavorando nel suo stato di servo della gleba, ha potuto elevarsi a membro del comune, come il cittadino minuto, lavorando sotto il giogo dell'assolutismo feudale, ha potuto elevarsi a borghese. Ma l'operaio moderno, invece di elevarsi man mano che l'industria progredisce, scende sempre più al disotto delle condizioni della sua propria classe. L'operaio diventa un povero, e il pauperismo si sviluppa anche più rapidamente che la popolazione e la ricchezza. Da tutto ciò appare manifesto che la borghesia non è in grado di rimanere ancora più a lungo la classe dominante della società e di imporre alla società le condizioni di vita della propria classe come legge regolatrice. Non è capace di dominare, perché non è capace di garantire l'esistenza al proprio schiavo neppure entro la sua schiavitù, perché è costretta a lasciarlo sprofondare in una situazione nella quale, invece di esser da lui nutrita, essa è costretta a nutrirlo. La società non può più vivere sotto la classe borghese, vale a dire la esistenza della classe borghese non è più compatibile con la società. La condizione più importante per l'esistenza e per il dominio della classe borghese è l'accumularsi della ricchezza nelle mani di privati, la formazione e la moltiplicazione del capitale; condizione del capitale è il lavoro salariato. Il lavoro salariato poggia esclusivamente sulla concorrenza degli operai tra di loro. Il progresso dell'industria, del quale la borghesia è veicolo involontario e passivo, fa subentrare all'isolamento degli operai risultante dalla concorrenza, la loro unione rivoluzionaria, risultante dall'associazione. Con lo sviluppo della grande industria, dunque, vien tolto di sotto ai piedi della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce e si appropria i prodotti. Essa produce anzitutto i suoi seppellitori. Il suo tramonto e la vittoria del proletariato sono del pari inevitabili.

II. Proletari e Comunisti
In che rapporto sono i comunisti con i proletari in genere?
I comunisti non sono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai.
I comunisti non hanno interessi distinti dagli interessi di tutto il proletariato.
I comunisti non pongono princìpi speciali sui quali vogliano modellare il movimento proletario.
I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solo per il fatto che da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell'intero proletariato, nelle varie lotte nazionali dei proletari; e dall'altra per il fatto che sostengono costantemente l'interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dalla lotta fra proletariato e borghesia. Quindi in pratica i comunisti sono la parte progressiva più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, e quanto alla teoria essi hanno il vantaggio sulla restante massa del proletariato, di comprendere le condizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento proletario. Lo scopo immediato dei comunisti è lo stesso di tutti gli altri proletari: formazione del proletariato in classe, abbattimento del dominio della borghesia, conquista del potere politico da parte del proletariato. Le proposizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto su idee, su princìpi inventati o scoperti da questo o quel riformatore del mondo. Esse sono semplicemente espressioni generali di rapporti di fatto di una esistente lotta di classi, cioè di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi. L'abolizione di rapporti di proprietà esistiti fino a un dato momento non è qualcosa di distintivo peculiare del comunismo. Tutti i rapporti di proprietà sono stati soggetti a continui cambiamenti storici, a una continua alterazione storica. Per esempio, la rivoluzione francese abolì la proprietà feudale in favore di quella borghese. Quel che contraddistingue il comunismo non è l'abolizione della proprietà in generale, bensì l'abolizione della proprietà borghese. Ma la proprietà privata borghese moderna è l'ultima e la più perfetta espressione della produzione e dell'appropriazione dei prodotti che poggia su antagonismi di classe, sullo sfruttamento degli uni da parte degli altri. In questo senso i comunisti possono riassumere la loro teoria nella frase: abolizione della proprietà privata. Ci si è rinfacciato, a noi comunisti che vogliamo abolire la proprietà acquistata personalmente, frutto del lavoro diretto e personale; la proprietà che costituirebbe il fondamento di ogni libertà, attività e autonomia personale. Proprietà frutto del proprio lavoro, acquistata, guadagnata con le proprie forze! Parlate della proprietà del minuto cittadino, del piccolo contadino che ha preceduto la proprietà borghese? Non c'è bisogno che l'aboliamo noi, l'ha abolita e la va abolendo di giorno in giorno lo sviluppo dell'industria. O parlate della moderna proprietà privata borghese? Ma il lavoro salariato, il lavoro del proletario, crea proprietà a questo proletario? Affatto. Il lavoro del proletario crea il capitale, cioè quella proprietà che sfrutta il lavoro salariato, che può moltiplicarsi solo a condizione di generare nuovo lavoro salariato, per sfruttarlo di nuovo. La proprietà nella sua forma attuale si muove entro l'antagonismo fra capitale e lavoro salariato. Esaminiamo i due termini di questo antagonismo. Essere capitalista significa occupare nella produzione non soltanto una pura posizione personale, ma una posizione sociale. Il capitale è un prodotto collettivo e può essere messo in moto solo mediante una attività comune di molti membri, anzi in ultima istanza solo mediante l'attività comune di tutti i membri della società. Dunque, il capitale non è una potenza personale; è una potenza sociale. Dunque, se il capitale viene trasformato in proprietà collettiva, appartenente a tutti i membri della società, non c'è trasformazione di proprietà personale in proprietà sociale. Si trasforma soltanto il carattere sociale della proprietà. La proprietà perde il suo carattere di classe. Veniamo al lavoro salariato. Il prezzo medio del lavoro salariato è il minimo del salario del lavoro, cioè è la somma dei mezzi di sussistenza che sono necessari per mantenere in vita l'operaio in quanto operaio. Dunque, quello che l'operaio salariato s'appropria mediante la sua attività è sufficiente soltanto per riprodurre la sua nuda esistenza. Noi non vogliamo affatto abolire questa appropriazione personale dei prodotti del lavoro per la riproduzione della esistenza immediata, appropriazione che non lascia alcun residuo di profitto netto tale da poter conferire potere sul lavoro altrui. Vogliamo eliminare soltanto il carattere miserabile di questa appropriazione, nella quale l'operaio vive solo allo scopo di accrescere il capitale, e vive solo quel tanto che esige l'interesse della classe dominante. Nella società borghese il lavoro vivo è soltanto un mezzo per moltiplicare il lavoro accumulato. Nella società comunista il lavoro accumulato è soltanto un mezzo per ampliare, per arricchire, per far progredire il ritmo d'esistenza degli operai. Dunque nella società borghese il passato domina sul presente, nella società comunista il presente domina sul passato. Nella società borghese il capitale è indipendente e personale, mentre l'individuo operante è dipendente e impersonale. E la borghesia chiama abolizione della personalità e della libertà l'abolizione di questo rapporto! E a ragione: infatti, si tratta dell'abolizione della personalità, della indipendenza e della libertà del borghese. Entro gli attuali rapporti di produzione borghesi per libertà s'intende il libero commercio, la libera compravendita. Ma scomparso il traffico, scompare anche il libero traffico. Le frasi sul libero traffico, come tutte le altre bravate sulla libertà della nostra borghesia, hanno senso, in genere, soltanto rispetto al traffico vincolato, rispetto al cittadino asservito del medioevo; ma non hanno senso rispetto alla abolizione comunista del traffico, dei rapporti borghesi di produzione e della stessa borghesia. Voi inorridite perché vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nella vostra società attuale la proprietà privata è abolita per i nove decimi dei suoi membri; la proprietà privata esiste proprio per il fatto che per nove decimi non esiste. Dunque voi ci rimproverate di voler abolire una proprietà che presuppone come condizione necessaria la privazione della proprietà dell'enorme maggioranza della società. In una parola, voi ci rimproverate di volere abolire la vostra proprietà. Certo, questo vogliamo. Appena il lavoro non può più essere trasformato in capitale, in denaro, in rendita fondiaria, insomma in una potenza sociale monopolizzabile, cioè, appena la proprietà personale non può più convertirsi in proprietà borghese, voi dichiarate che è abolita la persona. Dunque confessate che per persona non intendete nient'altro che il borghese, il proprietario borghese. Certo questa persona deve essere abolita. Il comunismo non toglie a nessuno il potere di appropriarsi prodotti della società, toglie soltanto il potere di assoggettarsi il lavoro altrui mediante tale appropriazione. Si è obiettato che con l'abolizione della proprietà privata cesserebbe ogni attività e prenderebbe piede una pigrizia generale. Da questo punto di vista, già da molto tempo la società borghese dovrebbe essere andata in rovina per pigrizia, poiché in essa coloro che lavorano, non guadagnano, e quelli che guadagnano, non lavorano. Tutto lo scrupolo sbocca nella tautologia che appena non c'è più capitale non c'è più lavoro salariato. Tutte le obiezioni che vengono mosse al sistema comunista di appropriazione e di produzione dei prodotti materiali, sono state anche estese alla appropriazione e alla produzione dei prodotti intellettuali, come il cessare della proprietà di classe è per il borghese il cessare della produzione stessa, così il cessare della cultura di classe è per lui identico alla fine della cultura in genere. Quella cultura la cui perdita egli rimpiange, è per la enorme maggioranza la preparazione a diventar macchine. Ma non discutete con noi misurando l'abolizione della proprietà borghese sul modello delle vostre idee borghesi di libertà, cultura, diritto e così via. Le vostre idee stesse sono prodotti dei rapporti borghesi di produzione e di proprietà, come il vostro diritto è soltanto la volontà della vostra classe elevata a legge, volontà il cui contenuto è dato nelle condizioni materiali di esistenza della vostra classe. Voi condividete con tutte le classi dominanti tramontate quell'idea interessata mediante la quale trasformate in eterne leggi della natura e della ragione, da rapporti storici quali sono, transeunti nel corso della produzione, i vostri rapporti di produzione e di proprietà. Non vi è più permesso di comprendere per la proprietà borghese quel che comprendete per la proprietà antica e per la proprietà feudale. Abolizione della famiglia! Anche i più estremisti si riscaldano parlando di questa ignominiosa intenzione dei comunisti. Su che cosa si basa la famiglia attuale, la famiglia borghese? Sul capitale, sul guadagno privato. Una famiglia completamente sviluppata esiste soltanto per la borghesia: ma essa ha il suo complemento nella coatta mancanza di famiglia del proletario e nella prostituzione pubblica. La famiglia del borghese cade naturalmente col cadere di questo suo complemento ed entrambi scompaiono con la scomparsa del capitale. Ci rimproverate di voler abolire lo sfruttamento dei figli da parte dei genitori? Confessiamo questo delitto. Ma voi dite che sostituendo l'educazione sociale a quella familiare noi aboliamo i rapporti più cari. E anche la vostra educazione, non è determinata dalla società? Non è determinata dai rapporti sociali entro i quali voi educate, dalla interferenza più o meno diretta o indiretta della società mediante la scuola e così via? I comunisti non inventano l'influenza della società sull'educazione, si limitano a cambiare il carattere di tale influenza, e strappano l'educazione all'influenza della classe dominante. La fraseologia borghese sulla famiglia e sull'educazione, sull'affettuoso rapporto fra genitori e figli diventa tanto più nauseante, quanto più, per effetto della grande industria, si lacerano per il proletario tutti i vincoli familiari, e i figli sono trasformati in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro. Tutta la borghesia ci grida contro in coro: ma voi comunisti volete introdurre la comunanza delle donne. Il borghese vede nella moglie un semplice strumento di produzione. Sente dire che gli strumenti di produzione devono essere sfruttati in comune e non può naturalmente farsi venire in mente se non che la sorte della comunanza colpirà anche le donne. Non sospetta neppure che si tratta proprio di abolire la posizione delle donne come semplici strumenti di produzione. Del resto non c'è nulla di più ridicolo del moralissimo orrore che i nostri borghesi provano per la pretesa comunanza ufficiale delle donne fra i comunisti. I comunisti non hanno bisogno d'introdurre la comunanza delle donne; essa è esistita quasi sempre. I nostri borghesi, non paghi d'avere a disposizione le mogli e le figlie dei proletari, per non parlare neppure della prostituzione ufficiale, trovano uno dei loro divertimenti principali nel sedursi reciprocamente le loro mogli. In realtà il matrimonio borghese è la comunanza delle mogli. Tutt'al, più ai comunisti si potrebbe rimproverare di voler introdurre una comunanza delle donne ufficiale e franca al posto di una comunanza delle donne ipocritamente dissimulata. del resto è ovvio che, con l'abolizione dei rapporti attuali di produzione, scompare anche quella comunanza delle donne che ne deriva, cioè la prostituzione ufficiale e non ufficiale. Inoltre, si è rimproverato ai comunisti ch'essi vorrebbero abolire la patria, la nazionalità. Gli operai non hanno patria. Non si può togliere loro quello che non hanno. Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in nazione, è anch'esso ancora nazionale, seppure non certo nel senso della borghesia. Le separazioni e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno scomparendo sempre più già con lo sviluppo della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato mondiale, con l'uniformità della produzione industriale e delle corrispondenti condizioni d'esistenza. Il dominio del proletariato li farà scomparire ancor di più. Una delle prime condizioni della sua emancipazione è l'azione unita, per lo meno dei paesi civili. Lo sfruttamento di una nazione da parte di un'altra viene abolito nella stessa misura che viene abolito lo sfruttamento di un individuo da parte di un altro. Con l'antagonismo delle classi all'interno delle nazioni scompare la posizione di reciproca ostilità fra le nazioni. Non meritano d'essere discusse in particolare le accuse che si fanno al comunismo da punti di vista religiosi, filosofici e ideologici in genere. C'è bisogno di una profonda comprensione per capire che anche le idee, le opinioni e i concetti, insomma, anche la coscienza degli uomini, cambia col cambiare delle loro condizioni di vita, delle loro relazioni sociali, della loro esistenza sociale? Cos'altro dimostra la storia delle idee, se non che la produzione intellettuale si trasforma assieme a quella materiale? Le idee dominanti di un'epoca sono sempre state soltanto le idee della classe dominante. Si parla di idee che rivoluzionano un'intera società; con queste parole si esprime semplicemente il fatto che entro la vecchia società si sono formati gli elementi di una nuova, e che la dissoluzione delle vecchie idee procede di pari passo con la dissoluzione dei vecchi rapporti d'esistenza. Quando il mondo antico fu al tramonto, le antiche religioni furono vinte dalla religione cristiana. Quando nel secolo XVIII le idee cristiane soggiacquero alle idee dell'illuminismo, la società feudale dovette combattere la sua ultima lotta con la borghesia allora rivoluzionaria. Le idee della libertà di coscienza e della libertà di religione furono soltanto l'espressione del dominio della libera concorrenza nel campo della coscienza. Ma, si dirà, certo che nel corso dello svolgimento storico le idee religiose, morali, filosofiche, politiche, giuridiche si sono modificate. Però in questi cambiamenti la religione, la morale, al filosofia, la politica, il diritto si sono sempre conservati. Inoltre vi sono verità eterne, come la libertà, la giustizia e così via, che sono comuni a tutti gli stati della società. Ma il comunismo abolisce le verità eterne, abolisce la religione, la morale, invece di trasformarle; quindi il comunismo si mette in contraddizione con tutti gli svolgimenti storici avuti sinora. A cosa si riduce quest'accusa? La storia di tutta quanta la società che c'è stata fino ad oggi s'è mossa in contrasti di classe che hanno avuto un aspetto differente a seconda delle differenti epoche. Lo sfruttamento d'una parte della società per opera dell'altra parte è dato di fatto comune a tutti i secoli passati, qualunque sia la forma ch'esso abbia assunto. Quindi, non c'è da meravigliarsi che la coscienza sociale di tutti i secoli si muova, nonostante ogni molteplicità e differenza, in certe forme comuni: forme di coscienza, che si dissolvono completamente soltanto con la completa scomparsa dell'antagonismo delle classi. La rivoluzione comunista è la più radicale rottura con i rapporti tradizionali di proprietà; nessuna meraviglia che nel corso del suo sviluppo si rompa con le idee tradizionali nella maniera più radicale. Ma lasciamo stare le obiezioni della borghesia contro il comunismo. Abbiamo già visto sopra che il primo passo sulla strada della rivoluzione operaia consiste nel fatto che il proletariato s'eleva a classe dominante, cioè nella conquista della democrazia. Il proletariato adoprerà il suo dominio politico per strappare a poco a poco alla borghesia tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, cioè del proletariato organizzato come classe dominante, e per moltiplicare al più presto possibile la massa delle forze produttive. Naturalmente, ciò può avvenire, in un primo momento, solo mediante interventi despotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione, cioè per mezzo di misure che appaiono insufficienti e poco consistenti dal punto di vista dell'economia; ma che nel corso del movimento si spingono al di là dei propri limiti e sono inevitabili come mezzi per il rivolgimento dell'intero sistema di produzione. Queste misure saranno naturalmente differenti a seconda dei differenti paesi. Tuttavia, nei paesi più progrediti potranno essere applicati quasi generalmente i provvedimenti seguenti:
1.- Espropriazione della proprietà fondiaria ed impiego della rendita fondiaria per le spese dello Stato.
2.- Imposta fortemente progressiva.
3.- Abolizione del diritto di successione.
4.- Confisca della proprietà di tutti gli emigrati e ribelli.
5.- Accentramento del credito in mano dello Stato mediante una banca nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo.
6.- Accentramento di tutti i mezzi di trasporto in mano allo Stato.
7.- Moltiplicazione delle fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano collettivo.
8.- Eguale obbligo di lavoro per tutti, costituzione di eserciti industriali, specialmente per l'agricoltura.
9.- Unificazione dell'esercizio dell'agricoltura e della industria, misure atte ad eliminare gradualmente l'antagonismo fra città e campagna.
10.- Istruzione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Eliminazione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale. Combinazione dell'istruzione con la produzione materiale e così via.
Quando le differenze di classe saranno scomparse nel corso dell'evoluzione, e tutta la produzione sarà concentrata in mano agli individui associati, il pubblico potere perderà il suo carattere politico. In senso proprio, il potere politico è il potere di una classe organizzato per opprimerne un'altra. Il proletariato, unendosi di necessità in classe nella lotta contro la borghesia, facendosi classe dominante attraverso una rivoluzione, ed abolendo con la forza, come classe dominante, gli antichi rapporti di produzione, abolisce insieme a quei rapporti di produzione le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe, cioè abolisce le condizioni d'esistenza delle classi in genere, e così anche il suo proprio dominio in quanto classe. Alla vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi fra le classi subentra una associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti.

III. Letteratura Socialista e Comunista
1. Il socialismo reazionario
a) Il socialismo feudale.
Data la sua posizione storica, l'aristocrazia francese e inglese era chiamata a scrivere libelli contro la moderna società borghese. Nella rivoluzione francese del luglio 1830, nel movimento inglese per la riforma elettorale, l'aristocrazia era soggiaciuta ancora una volta all'aborrito nuovo venuto. Non c'era più da pensare a una seria lotta politica. Le rimaneva soltanto la lotta letteraria. Ma anche nel campo della letteratura la vecchia fraseologia dell'età della restaurazione era ormai impossibile. Per destare qualche simpatia, l'aristocrazia era costretta a distogliere gli occhi, in apparenza, dai propri interessi e a formulare il suo atto d'accusa contro la borghesia solo nell'interesse della classe operaia sfruttata. Così essa preparava la soddisfazione di poter intonare invettive contro il nuovo signore, e di potergli mormorare nell'orecchio profezie più o meno gravide di sciagura. A questo modo sorse il socialismo feudalistico, metà lamentazione, metà libello; metà riecheggiamento del passato, metà minaccia del futuro. A volte colpisce al cuore la borghesia con un giudizio amaro e spiritosamente sarcastico, ma ha sempre effetto comico per la sua totale incapacità di comprendere il corso della storia moderna. Questi aristocratici hanno impugnato la proletaria bisaccia da mendicante, agitandola come bandiera per raggruppare dietro a sé il popolo. Ma tutte le volte che li ha seguiti, il popolo ha visto sulle loro parti posteriori i vecchi blasoni feudali e s'è sbandato con forti e irriverenti risate. Una parte dei legittimisti francesi e la Giovine Inghilterra hanno offerto questo spettacolo. Quando i feudali dimostrano che il loro sistema di sfruttamento era diverso dallo sfruttamento borghese, dimenticano soltanto che essi esercitavano lo sfruttamento in circostanze e condizioni totalmente differenti e che ora han fatto il loro tempo. Quando dimostrano che il proletariato moderno non è esistito al tempo del loro dominio, dimenticano soltanto che la borghesia moderna fu appunto un necessario rampollo del loro ordine sociale. Del resto, essi celano tanto poco il carattere reazionario della loro critica, che la loro principale accusa contro la borghesia è proprio che sotto il suo regime si sviluppa una classe che farà saltare in aria tutto quanto il vecchio ordine sociale. Rimproverano alla borghesia più il fatto che essa genera un proletariato rivoluzionario che non il fatto ch'essa produce un proletariato in genere. Nella pratica della vita politica, prendono parte perciò a tutte le misure di forza contro la classe operaia, e nella vita ordinaria, ad onta di tutti i loro gonfi frasari, si adattano a raccogliere le mele d'oro, e a barattare fedeltà, amore, onore col traffico della lana di pecora, della barbabietola e dell'acquavite. Come il prete si è sempre accompagnato al signore feudale, così il socialismo pretesco si accompagna a quello feudalistico. Non c'è cosa più facile che dare una tinta socialistica all'ascetismo cristiano. Il cristianesimo non se l'è presa forse anch'esso con la proprietà privata, con il matrimonio, con lo Stato? Non ha predicato, in loro sostituzione, la beneficenza, la mendicità, il celibato e la mortificazione della carne, la vita claustrale e la Chiesa? Il socialismo sacro è soltanto l'acquasanta con la quale il prete benedice la rabbia degli aristocratici.
b) Il socialismo piccolo-borghese.
L'aristocrazia feudale non è l'unica classe che sia stata abbattuta dalla borghesia e le cui condizioni di esistenza siano deperite e si siano estinte nella società borghese moderna. La piccola borghesia medievale e l'ordine dei piccoli contadini furono i precursori della borghesia moderna. Questa classe continua ancora a vegetare accanto alla sorgente borghesia nei paesi meno sviluppati industrialmente e commercialmente. Nei paesi dove s'è sviluppata la civiltà moderna, si è formata una nuova piccola borghesia, sospesa fra il proletariato e la borghesia, che torna sempre a formarsi da capo, in quanto è parte integrante della società borghese; ma i suoi membri vengono costantemente precipitati nel proletariato dalla concorrenza, anzi, con lo sviluppo della grande industria vedono addirittura avvicinarsi un momento nel quale scompariranno totalmente come parte indipendente della società moderna, e verranno sostituiti da sorveglianti e domestici nel commercio, nella manifattura, nell'agricoltura. In paesi come la Francia, dove la classe dei contadini costituisce molto più della metà della popolazione, era naturale che alcuni scrittori i quali scendevano in campo per il proletariato contro la borghesia usassero la scala del piccolo borghese e del piccolo contadino per la loro critica del regime borghese e che prendessero partito per gli operai dal punto di vista della piccola borghesia. Così s'è formato il socialismo piccolo-borghese. Capo di questa letteratura, non solo per la Francia, ma anche per l'Inghilterra, è il Sismondi. Questo socialismo ha anatomizzato con estrema perspicacia le contraddizioni insite nei rapporti moderni di produzione. Ha smascherato gli ipocriti eufemismi degli economisti. Ha dimostrato irrefutabilmente i deleteri effetti delle macchine e della divisione del lavoro, la concentrazione dei capitali e della proprietà fondiaria, la sovraproduzione, le crisi, la rovina inevitabile dei piccoli borghesi e dei piccoli contadini, la miseria del proletariato, l'anarchia della produzione, le stridenti sproporzioni nella distribuzione della ricchezza, la guerra industriale di sterminio fra le varie nazioni, la dissoluzione dei vecchi costumi, dei vecchi rapporti familiari, delle vecchie nazionalità. Tuttavia, quanto al suo contenuto positivo, questo socialismo o vuole restaurare gli antichi mezzi di produzione e di traffico, e con essi i vecchi rapporti di proprietà e la vecchia società, o vuole rinchiudere di nuovo, con la forza, entro i limiti degli antichi rapporti di proprietà i mezzi moderni di produzione e di traffico, che li han fatti saltare in aria, che non potevano non farli saltare per aria. In entrambi i casi esso è insieme reazionario e utopistico. Corporazioni nella manifattura e economia patriarcale nelle campagne: ecco la sua ultima parola. Nel suo ulteriore sviluppo questa tendenza è andata a finire in una vile depressione dopo l'ebbrezza.
c) Il socialismo tedesco ossia il vero socialismo.
La letteratura socialista e comunista francese, ch'è sorta sotto la pressione d'una borghesia dominante ed è l'espressione letteraria della lotta contro questo dominio, venne introdotta in Germania proprio mentre la borghesia stava cominciando la sua lotta contro l'assolutismo feudale. Filosofi, semifilosofi e begli spiriti tedeschi s'impadronirono avidamente di quella letteratura, dimenticando solo una piccola cosa: che le condizioni d'esistenza francesi non erano immigrate in Germania insieme a quegli scritti che venivano dalla Francia. Nei confronti delle condizioni tedesche, la letteratura francese perdette ogni significato pratico immediato e assunse un aspetto puramente letterario. Non poteva non apparire un'oziosa speculazione sulla vera società, sulla realizzazione dell'essere umano. Allo stesso modo le rivendicazioni della prima rivoluzione francese avevano avuto per i filosofi tedeschi del secolo XVIII soltanto il senso di essere rivendicazioni della "ragion pratica" in generale, e le manifestazioni di volontà della borghesia francese rivoluzionaria avevano significato ai loro occhi di leggi di pura volontà, della volontà come deve essere, della volontà veramente umana. Il lavoro dei letterati tedeschi consistette unicamente nel concordare le nuove idee francesi con la loro vecchia coscienza filosofica, o, anzi, nell'appropriarsi delle idee francesi dal loro punto di vista filosofico. Questa appropriazione avvenne nella stessa maniera che si usa in genere per appropriarsi una lingua straniera: mediante la traduzione. E` noto come i monaci ricoprissero di insipide storie di santi cattolici i manoscritti che contenevano le opere classiche dell'antichità pagana. Con la letteratura francese profana i letterati tedeschi usarono il procedimento inverso; scrissero le loro sciocchezze filosofiche sotto l'originale francese. Per esempio, sotto la critica francese dei rapporti patrimoniali essi scrissero "alienazione dell'essere umano", sotto la critica francese dello stato borghese scrissero "superamento del dominio dell'universale in astratto", e così via. Battezzarono questa insinuazione del loro frasario filosofico negli svolgimenti francesi con i nomi di "filosofia dell'azione", "vero socialismo", "scienza tedesca del socialismo", "motivazione filosofica del socialismo" e così via. Così la letteratura francese socialista e comunista fu letteralmente evirata. E poiché essa nelle mani dei tedeschi aveva smesso di esprimere la lotta d'una classe contro l'altra, il tedesco era consapevole d'aver superato l'unilateralità francese, d'essersi fatto rappresentante non di veri bisogni, ma anzi del bisogno della verità, non degli interessi del proletariato, ma anzi degli interessi dell'essere umano, dell'uomo in genere; dell'uomo che non appartiene a nessuna classe, anzi neppure alla realtà, e appartiene soltanto al cielo nebuloso della fantasia filosofica. Questo socialismo tedesco, che prendeva così solennemente sul serio le sue goffe esercitazioni scolastiche, e tanto ciarlatanescamente le strombazzava, perdette tuttavia, a poco a poco, la sua pedantesca innocenza. La lotta della borghesia tedesca, specialmente di quella prussiana, contro i feudali e contro la monarchia assoluta, in una parola, il movimento liberale, divenne più serio. Così al vero socialismo si offrì l'auspicata occasione di contrapporre le rivendicazioni socialiste al movimento politico, di lanciare i tradizionali anatemi contro il liberalismo, contro lo Stato rappresentativo, contro la concorrenza borghese, contro la libertà di stampa borghese, il diritto borghese, la libertà e l'eguaglianza borghesi; e di predicare alla massa popolare come essa non avesse niente da guadagnare, anzi tutto da perdere con quel movimento borghese. Il socialismo tedesco dimenticava in tempo che la critica francese della quale esso era l'insulso eco, presuppone la società borghese moderna con le corrispondenti condizioni materiali d'esistenza e l'adeguata costituzione politica: tutti presupposti che in Germania si trattava appena di conquistare. Il vero socialismo servì ai governi assoluti tedeschi, col loro seguito di preti, di maestrucoli, di nobilucci rurali e di burocrati, come gradito spauracchio contro la borghesia che avanzava minacciosa. Costituì il dolciastro complemento delle acri sferzate e delle pallottole di fucile con le quali quei governi rispondevano alle insurrezioni operaie. Mentre il vero socialismo diventava così un'arma nelle mani dei governi contro la borghesia tedesca, esso rappresentava d'altra parte anche direttamente un interesse reazionario, l'interesse del popolo minuto tedesco. In Germania la piccola borghesia, che è un'eredità del secolo XVI, e sempre vi riaffiora, da quell'epoca in poi, in varie forme, costituisce il vero e proprio fondamento sociale della situazione attuale. La sua conservazione è la conservazione della situazione tedesca attuale. Essa teme la sicura rovina dal dominio industriale e politico della borghesia, tanto in conseguenza della concentrazione del capitale, quanto attraverso il sorgere di un proletariato rivoluzionario. Le sembrò che il vero socialismo prendesse entrambi i piccioni con una fava. Ed esso si diffuse come un'epidemia. La veste ordita di ragnatela speculativa, ricamata di fiori retorici di begli spiriti, impregnata di rugiada sentimentale febbricitante di amore, questa veste di esaltazione nella quale i socialisti tedeschi avviluppavano il loro paio di ossute verità eterne, non fece che aumentare lo spaccio della loro merce presso quel pubblico. Per conto suo, il socialismo tedesco riconobbe sempre meglio la propria vocazione d'essere il burbanzoso rappresentante di questa piccola borghesia. Esso ha proclamato la nazione tedesca la nazione normale; il filisteo tedesco l'uomo normale. Ha conferito ad ogni abiezione di costui un senso celato, superiore, socialistico pel qual l'abiezione significava il contrario di quel che era. Ed ha tratto le ultime conseguenze prendendo direttamente posizione contro la tendenza brutalmente distruttiva del comunismo e proclamando la propria imparziale superiorità a tutte le lotte di classe. Quanto circola in Germania di pretesi scritti socialisti e comunisti appartiene, con pochissime eccezioni, alla sfera di questa sordida e snervante letteratura.

2. Il socialismo conservatore o borghese
Una parte della borghesia desidera di portar rimedio agli inconvenienti sociali, per garantire l'esistenza della società borghese. Rientrano in questa categoria economisti, filantropi, umanitari, miglioratori della situazione delle classi lavoratrici, organizzatori di beneficenze, protettori degli animali, fondatori di società di temperanza e tutta una variopinta genìa di oscuri riformatori. E in interi sistemi è stato elaborato questo socialismo borghese. Come esempio citeremo la Philosophie de la misère del Proudhon. I borghesi socialisti vogliono le condizioni di vita della società moderna senza le lotte e i pericoli che necessariamente ne derivano. Vogliono la società attuale sottrazion fatta degli elementi che la rivoluzionano e la dissolvono. Vogliono la borghesia senza proletariato. La borghesia si raffigura naturalmente il mondo ov'essa domina come il migliore dei mondi. Il socialismo borghese elabora questa consolante idea in un semi-sistema o anche in un sistema intero. Quando invita il proletariato a mettere in atto i suoi sistemi per entrare nella nuova Gerusalemme, il socialismo borghese non fa in sostanza che pretendere dal proletariato che esso rimanga fermo nella società attuale, ma rinunci alle odiose idee che di essa s'è fatto. Una seconda forma di socialismo meno sistematica e più pratica cercava di far passare alla classe operaia la voglia di qualsiasi movimento rivoluzionario, argomentando che le potrebbe essere utile non l'uno o l'altro cambiamento politico, ma soltanto un cambiamento delle condizioni materiali della esistenza, cioè dei rapporti economici. Ma questo socialismo non intende affatto, con il termine di cambiamento delle condizioni materiali dell'esistenza, l'abolizione dei rapporti borghesi di produzione, possibile solo in via rivoluzionaria, ma miglioramenti amministrativi svolgentisi sul terreno di quei rapporti di produzione, che dunque non cambiano nulla al rapporto fra capitale e lavoro salariato, ma che, nel migliore dei casi, diminuiscono le spese che la borghesia deve sostenere per il suo dominio e semplificano il suo bilancio statale. Il socialismo borghese giunge alla sua espressione adeguata solo quando diventa semplice figura retorica. Libero commercio! nell'interesse della classe operaia; dazi protettivi! nell'interesse della classe operaia; carcere cellulare! nell'interesse della classe operaia. Questa è l'ultima parola, l'unica detta seriamente, del socialismo borghese. Il loro socialismo consiste appunto nell'affermazione che i borghesi sono borghesi -nell'interesse della classe operaia

3. Il socialismo e comunismo critico-utopistico
Qui non parleremo della letteratura che ha espresso le rivendicazioni del proletariato in tutte le grandi rivoluzioni moderne (scritti di Babeuf e così via). I primi tentativi del proletariato di far valere direttamente il suo proprio interesse di classe in un'età di generale effervescenza, nel periodo del rovesciamento della società feudale, non potevano non fallire per la forma poco sviluppata del proletariato stesso, come anche per la mancanza delle condizioni materiali della sua emancipazione, che sono appunto solo il prodotto dell'età borghese. La letteratura rivoluzionaria che ha accompagnato quei primi movimenti del proletariato è per forza reazionaria, quanto al contenuto; insegna un ascetismo generale e un rozzo egualitarismo. I sistemi propriamente socialisti e comunisti, i sistemi di Saint-Simon, di Fourier, di Owen, ecc., emergono nel primo periodo, non sviluppato, della lotta fra proletariato e borghesia, che abbiamo esposto sopra (vedi: Borghesia e proletariato). Certo, gli inventori di quei sistemi vedono l'antagonismo delle classi e anche l'efficacia degli elementi dissolventi nel seno della stessa società dominante. Ma non vedono nessuna attività storica autonoma dalla parte del proletariato, non vedono nessun movimento politico proprio e particolare del proletariato. Poiché lo sviluppo dell'antagonismo fra le classi va di pari passo con lo sviluppo dell'industria, essi non trovano neppure le condizioni materiali per l'emancipazione del proletariato, e vanno in cerca d'una scienza sociale, di leggi sociali, per creare queste condizioni. Alla attività sociale deve subentrare la loro attività inventiva personale, alle condizioni storiche dell'emancipazione del proletariato, devono subentrare condizioni immaginarie, e alla organizzazione del proletariato in classe con un processo graduale deve subentrare una organizzazione della società da essi escogitata a bella posta. La storia universale futura si dissolve per essi nella propaganda e nell'esecuzione pratica dei loro progetti di società. E` vero ch'essi sono coscienti di sostenere nei loro progetti sopratutto gli interessi della classe operaia, come della classe che più soffre. Il proletariato esiste per essi soltanto da questo punto di vista della classe che più soffre. Ma è inerente tanto alla forma non evoluta della lotta di classe quanto alla loro propria situazione, ch'essi credano d'essere di gran lunga superiori a quell'antagonismo di classe. Vogliono migliorare la situazione di tutti i membri della società, anche dei meglio situati. Quindi fanno continuamente appello alla società intera, senza distinzione, anzi, di preferenza alla classe dominante. Giacché basta soltanto comprendere il loro sistema per riconoscerlo come il miglior progetto possibile della miglior società possibile. Quindi essi respingono qualsiasi azione politica, e specialmente ogni azione rivoluzionaria; vogliono raggiungere la loro meta per vie pacifiche e tentano di aprir la strada al nuovo vangelo sociale con piccoli esperimenti che naturalmente falliscono, con la potenza dell'esempio. Tale descrizione fantastica della società futura corrisponde al primo impulso presago del proletariato verso una trasformazione generale della società, in un periodo nel quale il proletariato è ancora pochissimo sviluppato, e quindi intende anch'esso ancora fantasticamente la propria posizione. Ma gli scritti socialisti e comunisti consistono anche di elementi di critica. Essi attaccano tutte le fondamenta della società esistente. Hanno quindi fornito materiale preziosissimo per illuminare gli operai. Le loro proposizioni positive sulla società futura, per esempio l'abolizione del contrasto fra città e campagna, della famiglia, del guadagno privato, del lavoro salariato, l'annuncio dell'armonia sociale, la trasformazione dello Stato in una semplice amministrazione della produzione, tutte queste proposizioni esprimono semplicemente la scomparsa dell'antagonismo fra le classi che allora comincia appena a svilupparsi, e ch'essi conoscono soltanto nella sua prima informe indeterminatezza. Perciò queste stesse proposizioni hanno ancora un senso puramente utopistico. L'importanza del socialismo e comunismo critico utopistico sta in rapporto inverso allo sviluppo storico. Nella stessa misura che si sviluppa e prende forma la lotta fra le classi, perde ogni valore pratico, ogni giustificazione teorica quell'immaginario sollevarsi al di sopra di essa, quella lotta immaginaria contro di essa. Quindi, anche se gli autori di quei sistemi erano rivoluzionari per molti aspetti, i loro scolari costituiscono ogni volta sette reazionarie. Tengon ferme contro il progressivo sviluppo storico del proletariato, le vecchie opinioni dei maestri. Quindi cercano conseguentemente di smussare di nuovo la lotta di classe, e di conciliare gli antagonismi. Continuano sempre a sognare la realizzazione sperimentale delle loro utopie sociali, l'istituzione di singoli falansteri, la fondazione di colonie in patria, la creazione di una piccola Icaria, -edizione in dodicesimo della nuova Gerusalemme- e per la costruzione di tutti quei castelli in Ispagna debbono far appello alla filantropia dei cuori e delle borse borghesi. A poco per volta essi cadono nella sopra descritta categoria dei socialisti reazionari o conservatori, e ormai si distinguono da questo solo per una pedanteria più sistematica, e per la fede fanatica e superstiziosa nell'efficacia miracolosa della loro scienza sociale. Quindi si oppongono aspramente ad ogni movimento politico degli operai, poiché esso non potrebbe procedere che da cieca mancanza di fede nel nuovo vangelo. Gli owenisti in Inghilterra reagiscono contro i cartisti, i fourieristi in Francia reagiscono contro i riformisti.

IV. Posizione dei Comunisti di fronte ai diversi partiti di opposizione
Da quanto s'è detto nel secondo capitolo appare ovvio quale sia il rapporto dei comunisti coi partiti operai già costituiti, cioè il loro rapporto coi cartisti in Inghilterra e coi riformatori nell'America del Nord.I comunisti lottano per raggiungere i fini e gli interessi immediati della classe operaia, ma nel movimento presente rappresentano in pari tempo l'avvenire del movimento. In Francia i comunisti si alleano al partito socialista-democratico contro la borghesia conservatrice e radicale, senza per questo rinunciare al diritto d'un contegno critico verso le frasi e le illusioni provenienti dalla tradizione rivoluzionaria.In Svizzera essi appoggiano i radicali, senza disconoscere che questo partito è costituito da elementi contraddittori, in parte da socialisti democratici in senso francese, in parte da borghesi radicali.Fra i polacchi, i comunisti appoggiano il partito che fa d'una rivoluzione agraria la condizione della liberazione nazionale. Lo stesso partito che promosse l'insurrezione di Cracovia del 1846.In Germania il partito comunista combatte insieme alla borghesia contro la monarchia assoluta, contro la proprietà fondiaria feudale e il piccolo borghesume, appena la borghesia prende una posizione rivoluzionaria.Però il partito comunista non cessa nemmeno un istante di preparare e sviluppare fra gli operai una coscienza quanto più chiara è possibile dell'antagonismo ostile fra borghesia e proletariato, affinché i lavoratori tedeschi possano subito rivolgere, come altrettante armi contro la borghesia, le condizioni sociali e politiche che la borghesia deve creare con il suo dominio, affinché subito dopo la caduta delle classi reazionarie in Germania, cominci la lotta contro la borghesia stessa.I comunisti rivolgono la loro attenzione sopratutto alla Germania, perché la Germania è alla vigilia d'una rivoluzione borghese, e perché essa compie questo rivolgimento in condizioni di civiltà generale europea più progredite, e con un proletariato molto più evoluto che non l'Inghilterra nel decimosettimo e la Francia nel decimottavo secolo; perché dunque la rivoluzione borghese tedesca può essere soltanto l'immediato preludio d'una rivoluzione proletaria.In una parola: i comunisti appoggiano dappertutto ogni movimento rivoluzionario diretto contro le situazioni sociali e politiche attuali.Entro tutti questi movimenti essi mettono in rilievo, come problema fondamentale del movimento, il problema della proprietà, qualsiasi forma, più o meno sviluppata, esso possa avere assunto.Infine, i comunisti lavorano dappertutto al collegamento e all'intesa dei partiti democratici di tutti i paesi.I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Dichiarano apertamente che i loro fini possono esser raggiunti soltanto col rovesciamento violento di tutto l'ordinamento sociale finora esistente. Le classi dominanti tremino al pensiero d'una rivoluzione comunista. I proletari non hanno da perdervi che le loro catene. Hanno un mondo da guadagnare.
PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI!