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domenica 20 febbraio 2011

Un'analisi delle rivolte del nordafrica

Negli ultimi giorni l’attenzione internazionale era concentrata sull’Egitto e sulla rivolta popolare in atto nel Paese nordafricano. Questi moti popolari hanno portato a una prima vittoria: la caduta del dittatore Mubarak. Per ora, almeno a mio avviso, non ci sono, tuttavia, le caratteristiche di una rivoluzione socialista. Prima di tutto la rivolta è stata subito guidata dai Fratelli Musulmani e dalle opposizioni borghesi al regime, in secondo luogo manca un forte Partito Comunista in grado di cambiare radicalmente la rotta e, per ultimo, le proteste avevano come obiettivo la caduta di Mubarak e non un cambio rivoluzionario della società. Detto questo analizziamo comunque i fatti che hanno visto una prima vittoria del proletariato egiziano, che hanno lanciato un chiaro messaggio a tutti i dittatori nordafricani, ai Governi borghesi mondiali (quello della forza del popolo, in grado di spazzare via qualsiasi regime) e che potrebbero essere preludio, come speriamo, a una rivoluzione socialista.

LE DIMISSIONI DI MUBARAK E IL POTERE AI MILITARI

Dopo diversi giorni di scontri tra il popolo egiziano e la polizia, aiutata dalle guardie presidenziali, il Presidente (o meglio: dittatore) Hosni Mubarak si è dimesso, passando il potere ai militari e fuggendo a Sharm el Sheik. Stando al comunicato numero 5 emesso dall’esercito egiziano i militari governeranno per i prossimi sei mesi, il Presidente del Consiglio Supremo delle Forze Armate assume la rappresentanza interna ed esterna del Paese ed il Primo Ministro Ahmed Shafiq assume la direzione del Consiglio dei Ministri. Inoltre è stato sciolto il Parlamento e sospesa la Costituzione, che verrà modificata e sottoposta all’approvazione popolare.
Se non si sa chi e come governerà dopo questa parentesi militare si può di certo intuire che la decisione di affidare il potere all’esercito comporta un arresto delle rivolte e del processo rivoluzionario, come dimostra, per esempio, lo sgombero degli ultimi manifestanti da Piazza Tahrir.
Chi fino a venerdì ha lottato per la caduta del dittatore lancia appelli ai militari chiedendo di non tradire la rivoluzione. Un appello destinato a cadere nel vuoto per due motivi ben precisi: il primo è dettato dal fatto che l’Egitto rimane una Repubblica borghese e i militari sono la mano armata e la guardia della borghesia, l’azione dell’esercito andrà verso il mantenimento dell’ordine borghese e verso il tradimento degli intenti del proletariato egiziano. Il secondo motivo è dettato dalla particolare storia dell’Egitto. Durante tutte le rivolte avvenute in Egitto, infatti, al Governo abbattuto dal popolo si è sostituito l’esercito, garantendo una prosecuzione del regime, anche se con vertici diversi. Anche ora ci sono preoccupazioni da parte di alcuni esponenti della politica egiziana e la paura di una svolta militare e autoritaria.
L’unica possibilità che ha il proletariato egiziano per vedere salvaguardata questa prima fase di rivolte, per non vedere al potere un altro Mubarak marionetta dell’esercito, degli Stati Uniti e di Israele e per passare ad una vera e propria rivoluzione di carattere socialista è quello di sovvertire l’apparato statale borghese e sganciarsi dall’esercito, suo vero nemico. Tutto questo sembra essere, per ora, molto lontano vista anche la grande popolarità dei militari.

OMAR SULEIMAN

Una figura chiave del regime di Mubarak, soprattutto nelle ultime settimane, è stato Omar Suleiman, vicepresidente e capo dei servizi segreti.
Anche ora egli rimane figura ambigua e poco chiara, come poco chiaro è il suo destino. Secondo alcuni i militari stanno già pensando di sbarazzarsene, secondo altri, invece, i vertici dell’esercito hanno intenzione di tenerlo al suo posto (anche se privo di “reali poteri”, anche se questa ultima affermazione appare poco credibile).
Al lettore più attento può sorgere spontanea una domanda: a che pro tenere nel Governo una figura odiata dal popolo? La risposta è molto semplice.
Suleiman era stato designato successore di Mubarak ancora prima dello scoppio della rivolta. Ovviamente tutto ciò non era stato deciso dal popolo, ma dagli stessi poteri forti che tenevano Mubarak al governo da trent’anni: Stati Uniti e Israele.
Sia gli USA sia Israele non sono interessati ad una “transizione democratica”, né ad altre rivolte nel Nord Africa o nel Medio Oriente. Pur di mantenere la propria egemonia e assicurare i propri interessi politici ed economici i Governi di questi due Paesi sono disposti a tutto, nonostante entrambi si facciano baluardi della democrazia. Suleiman era diventato, poi, il principale interlocutore tra USA, Israele e Mubarak. Poste queste condizioni è facile capire come, probabilmente, Suleiman rimarrà al suo posto o, comunque, nelle alte sfere del potere egiziano.
È altrettanto facile capire come, anche sotto questo aspetto, gli intenti del popolo sono stati traditi (o meglio: potrebbero essere traditi giacchè ancora nulla si sa sulla sorte di Suleiman) dall’esercito e dai poteri forti internazionali. Insomma, Mubarak è caduto, ma il problema è ben lontano dalla soluzione.

LE REAZIONI INTERNAZIONALI E L’IPOCRISIA DELL’OCCIDENTE

C’è chi dice che la rivolta egiziana ha preso in contropiede gli Stati Uniti. Ciò è vero solo in parte. Abbiamo già detto come gli USA potrebbero intercedere a favore di Suleiman, ma anche se egli non restasse al suo posto la potenza imperialista uscirebbe comunque vincitrice. Molto probabilmente, infatti, il nuovo Presidente sarà persona gradita agli Stati Uniti, grazie soprattutto all’esercito che detiene il vero potere in Egitto e che è amico del Governo nordamericano (complici gli ingenti finanziamenti militari). Insomma, Mubarak è caduto, ma molto probabilmente un altro personaggio della sua risma prenderà il potere nel Paese (basti pensare al caso della Colombia, dove Uribe non si è presentato alle elezioni, ma il nuovo Presidente era stato Ministro sotto Uribe e “amico fidato” degli Stati Uniti). Gli interessi dell’imperialismo nordamericano e israeliano nella zona sono troppo importanti, le due potenze difficilmente molleranno la preda.
Un altro fatto che colpisce molto è il comportamento delle potenze occidentali. Se fino a qualche settimana fa i Governi occidentali descrivevano l’Egitto come baluardo della democrazia e Paese più occidentale del nord africa, ora essi sono tra i primi a denunciare il dittatore Mubarak. Ciò che colpisce non è tanto il classico gioco politico, che accade più spesso di quanto si possa pensare, ma il fatto che nessuno denunci questo fatto o che molti individui, come pecore, non si accorgano della realtà e continuino a seguire il pensiero dominante, a non vedere l’ipocrisia dei loro governanti e della società in cui vivono. Mubarak è stato al potere per trent’anni compiendo soprusi di ogni genere sul popolo egiziano per colpa anche nostra e dei nostri Governi!
Di più: la situazione egiziana (e di molti altri Paesi) non cambierà fino a quando, oltre al proletariato egiziano, non prenderà coscienza il proletariato occidentale tutto, poiché fino a quando esisteranno Governi borghesi e imperialisti non potrà esservi libertà per i popoli sottomessi.
Per quanto riguarda gli Stati arabi la preoccupazione maggiore è che la rivolta egiziana possa “contagiare” gli altri Paesi nordafricani e mediorientali. Vi sono segnali in questo senso in Libia, Yemen, Oman, Giordania, mentre la rivolta è ormai scoppiata in Algeria.

LA SITUAZIONE ALGERINA

Ci permettiamo di scrivere poche righe anche sulla situazione in Algeria, dove la rivolta egiziana ha dato un nuovo scossone alle masse popolari che sono tornate violentemente in piazza dopo le manifestazioni del 21 Gennaio. Sabato 12 Febbraio, infatti, il popolo è sceso di nuovo in piazza contro il dittatore Bouteflika, anche se il regime non si è fatto trovare impreparato. Ad aspettare i manifestanti, infatti, c’erano trentamila poliziotti in assetto da battaglia che, con cariche e violenze, hanno disperso i manifestanti.
La lotta per abbattere il dittatore algerino sarà più ardua delle precedenti e se in Egitto è probabile che al potere salga un altro Mubarak in Algeria, in caso di vittoria delle masse popolari, questo fatto pare essere una certezza. L’Algeria, infatti, vende ogni anno cinquanta miliardi di dollari di gas e petrolio alle potenze occidentali. I Paesi imperialisti non lasceranno facilmente la preda.

QUALCHE CONCLUSIONE

Le rivolte in atto in Egitto in particolare e nel nord Africa in generale non hanno il carattere di una rivoluzione socialista, per tre principali motivi:
1) le lotte hanno per ora il solo scopo immediato di liberarsi da un dittatore
2) nei Paesi interessati non sono presenti forti Partiti Comunisti in grado di guidare una rivoluzione proletaria, né è presente una tradizione socialista forte
3) alla guida delle proteste vi sono movimenti borghesi o di stampo religioso
Tutto ciò non toglie che a queste prime rivolte e a questi primi successi del proletariato nordafricano non segua una rivoluzione socialista. Anzitutto da questa esperienza il popolo egiziano e in generale il popolo nordafricano e mediorientale ha preso coscienza della propria forza e questo è già un primo, grande passo avanti. In secondo luogo quasi sicuramente il popolo vedrà tradite le proprie aspettative dai vertici militari e dai potentati economici nazionali ed internazionali, che non hanno interesse in un radicale cambio di rotta.
Per vincere, quindi, il proletariato dei Paesi in rivolta deve capire che l’esercito, gli Stati Uniti e tutti i Paesi imperialisti, le guide “spirituali” (in realtà più interessate al potere temporale) e i politicanti borghesi sono i veri nemici di classe. Il proletariato egiziano e quello di tutti i Paesi africani, mediorientali e del mondo intero deve rompere con le opposizioni borghesi, poiché esse fanno e faranno sempre e solo il proprio interesse di classe a scapito del popolo che viene da loro usato solo come pedina per i propri scopi. Solo così si potrà passare da una rivolta a una rivoluzione socialista e solo così il proletariato potrà vincere.

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